venerdì 8 dicembre 2017

"Un accurato controllo" racconto di Elisabetta Pietrangeli

“Signora biglietto prego”.
La voce del controllore mi distolse dai miei pensieri facendomi saltare, lui se ne accorse e abbozzò un sorriso alzando leggermente le spalle in segno di scuse. Frugai nella mia borsa quasi scocciata e gli porsi il biglietto fissando le piccole gocce di sudore che accentuavano i lineamenti decisi del suo viso. Era un bell’uomo, sulla trentina credo, e la divisa che indossava gli conferiva un aspetto autoritario, accentuando ancor di più il suo naturale fascino maschile. Lo osservai mentre controllava accuratamente il mio biglietto neanche fosse un documento che richiedeva la sua massima concentrazione, aggrottò le sopracciglia piegando leggermente la testa e si fissò su quel pezzo di carta prolungando la sua presenza nella mia cabina volutamente. Teneva le gambe divaricate e le schiena dritta mettendo in mostra la sua perfetta struttura muscolare. Non c’era che dire, era bello, affascinante e molto sicuro di se. Quasi senza accorgermene abbassai lo sguardo e mi fissai sulla patta dei pantaloni dove una consistente spongenza faceva intendere di quanto fosse dotato quell’esemplare di maschio. Mi immaginai inginocchiata dinanzi a lui, mentre le mie mani frugavano tremanti per impossessarsi di quell’oggetto di piacere. Accaldata, gonfia e con gli slip già imbrattati dalla mia fremente voglia lo fissavo con il uno sguardo velato, incatenandolo a me, ai miei desideri, immaginando di riempirmi la bocca di lui. Ormai persa in quelle torbide fantasie non mi accorsi che mi stava osservando, alzai la testa e incrociai i suoi occhi verdi che mi fissarono penetranti quasi volessero smascherare quei pensieri sconci che la mia mente era stata in grado di fare.
“Uff, fa troppo caldo oggi, non trova?” dissi arrossendo.
Presi a sventolarmi agitando una mano, e quel gesto innocuo, che cercava di nascondere la mia oramai instabile lucidità, lo fece sorridere.
“Si signora, ha ragione, oggi fa davvero caldo” mi rispose, trascicando le ultime parole con fare lascivo.
Mi alzai, ormai troppo imbarazzata per quella situazione insolita di cui ero più che responsabile.
“Mi scusi, devo rinfrescarmi, dove trovo un bagno?” gli chiesi con un filo di voce.
Avevo la bocca asciutta e la salivazione mi si azzerò completamente quando mi accostai al suo corpo e inspirai il suo odore. La fraganza del profumo che indossava mescolato alla sua sudorazione si infiltrò nelle mie narici montando un’eccitazione fino a quel punto tenuta sotto controllo.
“In fondo al corridoio” mi rispose, alzando il braccio, sfiorandomi appena.
Rabbrividii a quel leggero contatto, chiusi gli occhi cercando di scacciare le sensazioni che volavano come farfalle impazzite verso il mio ventre. Mi voltai e camminai a passi decisi nella direzione da lui indicata, non mi voltai finchè arrivai dinanzi alla piccola porta prima dell’uscita del vagone.
La aprii e mentre varcai quel luogo angusto e puzzolente fui sospinta all’interno con forza. Mi girai quasi spaventata e mi ritrovai davanti lui, mi imprigionò con il suo corpo possente, mi legò a lui con i suoi occhi torbidi e vogliosi facendo di me la sua preda, pronta per essere presa, usata, scopata e sfamata. Silenzioso ma pericoloso, glaciale nella postura era puro istinto, sesso duro e sporco che contrastava incredibilmente con i modi educati e docili con cui si era mostrato per chiedermi il biglietto. Mi abbassò le spalline del vestito con un gesto rozzo che mi fece perdere l’equilibrio, mi aggrappai a lui per paura di cadere, mi sorresse tenendomi bel salda con una mano mentre altra si impadroniva del mio seno, lo strizzò chiudendolo nella sua morsa e tirò il capezzolo strappandomi il mio primo lamento. Mi schiacciò a lui facendomi appoggiare con il sedere sul bordo nel lavadino che avevo alle spalle, si slacciò i pantaloni e li tirò giù mostrandomi un uccello fiero e eretto, che era stata la fonte di quella incredibile follia.
Gli sorrisi sfacciata, lui ricambiò sicuro della grande compiacenza che stava per ricevere, mi accovacciai finchè mi ritrovai con la faccia davanti a quell’asta di carne che scalpitava sotto le stimolazioni della sua abile mano. Lo guardai un’ultima volta prima di farlo scomparire completamente nella mia bocca, fino in fondo, dove la punta gonfia si appoggiò sulla mia ugola, soffocandomi. Lo sentì gemere senza pudore, si mosse all’interno della mia bocca con piccoli movimenti del bacino, tenne salda la mia testa afferrandomi i capelli, scopandomi la bocca senza decenza. Mugolai più volte gustando il suo sapore, mi lasciai andare lasciva e sfrenata inghiottendo gemiti e lussuria, ero fradicia e tremavo per la quantità di adrenalina che scorreva impazzita nel mio corpo eccitato da quella situazione depravata. Uscì improvvisamente da me portandosi dietro un filo consistente della mia saliva che mi legava ancora a lui, mi fece alzare per poi girarmi per offrirgli le spalle, mi appoggiai ai bordi di quel sudicio lavandino e attesi impaziente la sua prossima mossa. Mi sollevò il vestito, abbassò gli slip fino a farmeli scivolare fin giù alle caviglie e folle e spregiudicato fece scorrere un dito all’interno delle mie gambe, lentamente, strappandomi brividi elettrizzanti che mi scossero ancor di più. Mi abbracciò, da dietro e ci fissammo nel riflesso del piccolo specchio logoro attaccato sulla parete, mi sorrise e osservò attento l’espressione del mio viso quando appoggiò la punta del suo uccello sulle labbra infuocate della mia fessura e mi penetrò. Un colpo, poi ancora un altro, mi riempì mentre deliziavo i suoi occhi del piacere stampato sul mio viso. Agevolati dall’ondeggiare del treno in movimento ci perdemmo in quella danza lussuriosa, mi sollevò una gamba con un braccio per riempirmi meglio e quando trovò la giusta posizione cominciò a scoparmi duramente facendomi impazzire. I nostri gemiti si mescolarono insieme ai nostri respiri affannati mentre le nostre voci echeggiavano senza più controllo, non curandoci di essere uditi e scoperti. Urlai quando l’orgasmo mi invase con violente pulsazioni che spossarono il mio corpo facendomi accasciare in avanti, e mentre cercavo di tenermi salda sotto i suoi colpi violenti, anche lui venne. Lo sentii irrigidirsi e contrarsi, soffocò i suoi gemiti nei miei capelli ormai privi di una piega decente. Il suo seme caldo colò rigando le mie gambe e si fermo sullo slip aggrovigliato alla mia caviglia.
Dopo i primi secondi necessari per tornare alla realtà fummo colti da un buffo imbarazzo che non ci permise di guardarci negli occhi come due amanti felici e soddisfatti.
“Se puoi uscire così mi sistemo” riuscii a dire.
“Certo” rispose con lo sguardo basso. Si rivestì e si passo una mano sul viso e sui capelli per darsi di nuovo un tono consono al suo ruolo.
“Ah, il biglietto?”.
“Vero…mi scusi”.
Mi porse il mio biglietto, io lo presi e solo in quell’attimo i nostri occhi riuscirono ad essere limpidi e sereni. Ci sorridemmo consapevoli che non ci saremmo più rivisti, le nostre strade si erano unite in un solo folle attimo per poi perdersi per sempre, come se nulla fosse accaduto.
“Il biglietto è tutto a posto, buon viaggio”.
“Grazie”.
Mi voltai, abbassai la testa e non lo vidi quando si chiuse la porta alle spalle, lasciandomi addosso solo il segno del suo accurato controllo.


© Elisabetta Pietrangeli.
Aprile 2015
All rights reserved.

mercoledì 6 dicembre 2017

"Rubandoti l'anima" di Cinzia Fiore Ricci

"Leggi ad alta voce..."
Rimase dietro di me, in silenzio, aspettando di vedermi aprire quel libro. Che assurdità pensai, potevamo abbracciarci, baciarci, invece no, lui voleva sentirmi leggere. Da sopra la scrivania presi il libro, lo sfogliai e alcuni versi attirarono i miei occhi che arguti colsero l'ardore di un particolare momento:

Ti vedo distesa mia dolce amante,
nuda e in estasi nell'attesa di me.
La tua pelle bianca rispecchia del suo candore
dando luce a questa mia stanza buia.
Potrei fare di tutto col tuo corpo
reso fragile dalla cocente passione che ti abita, ma non mi basta possedere la tua carne, io voglio i tuoi pensieri e tutti i sospiri che sfioreranno quelle rosse labbra ogni volta che nella tua mente ci sarò io. Indomabile e crudele creatura tu sei cosciente del male che fai quando maliziosa giochi muovendo i tuoi sinuosi fianchi. L'universo del peccato si agita tra quelle cosce chiuse, rigide colonne custodi di un tesoro in attesa di essere derubato. Fai più vittime di un'epidemia e il tuo sguardo distratto sempre libero rimane come la tua anima che vola leggera sopra ogni vita che incontri. Ma io ho deciso, non mi sazio come i cani randagi che conquisti, non ti tocco, io ti voglio in ogni tuo dove, Mia è tutto il mio come.

Mi fermai, con il cuore gonfio in gola, il respiro strozzato, il ventre in fiamme e il mio seno tra la sua mano.
"Così voglio averti" mi disse "toccandoti dentro, rubandoti l'anima."
© Cinzia Fiore Ricci
🌹

martedì 5 dicembre 2017

"Sangue caldo" racconto di Elisabetta Pietrangeli

“Ho una sorpresa per te. Cerca di essere puntuale”.
Poche parole, sempre breve e conciso. Rilessi più volte il messaggio sorridendo e mordendomi il labbro. Una fitta di piacere partì senza che io la controllassi facendomi stringere le cosce. Una sorpresa, per me, cosa aveva potuto architettare? Adoravo le sue sorprese, così come adoravo lui, il suo essere, sempre capace di stimolare e far tremare il mio corpo come nessuno mai. Immaginai scenari, spezzoni di scene già vissute che fecero esplodere il calore che mai riuscivo a contenere, quando di mezzo c’era lui. Allontanai il lembo della gonna e spostando leggermente lo slip feci scivolare le dita tra le labbra già gonfie e umide della mia fessura. Incredibile, che potere immenso aveva su di me, poche parole, e la mente partiva, in un’altra dimensione, dove non ero più la donna posata e seria dei miei giorni comuni, ma divenivo puttana, la sua, sempre pronta a compiacere ogni sua trasgressione, ogni sua follia, ogni desiderio perverso. Mi ricomposi, quasi dispiaciuta, mi buttai sul lavoro attendendo fremente di rivederlo e di vedere la sorpresa che aveva in serbo per me.
Arrivai dieci minuti in anticipo, ansiosa di quell’incontro carico di aspettative, presi l’ascensore, pigiai con le dita tremanti il terzo piano e tirando un grande respiro mi guardai alle specchio posto all’interno. Ero tesa, ma il trucco era impeccabile, labbra rosse, scure, infuocate, torbide, mi passai le mani tra i capelli, poi le feci scivolare sulla camicia bianca e sbottonai il primo bottone allargando la scollatura, mettendo in mostra il seno prosperoso. Scesi ancora, sulla gonna, la sollevai e scoprii le autoreggenti, afferrai il pizzo e lo sistemai. Tutto doveva essere perfetto, nei minimi particolari e il riflesso di me, con le gambe scoperte, vestite di lussuria, erano punta di malizia e orgoglio per la mia sfrontata femminilità.
Arrivata alla porta bussai. Rimasi immobile, con il cuore a mille e quando mi aprì non riuscii a pronunciare una sola parola. La salivazione si azzerò e mi persi dinanzi la sua presenza.
“Eccoti” e sorrise.
Sorrisi anche io, e abbassando la testa entrai.
Mi scrutò con i suoi occhi famelici, divampai e un leggero rossore colorò le mie guance, neanche fossi una ragazzina timida, ma la mia emozione derivava dall’eccitazione del nostro incontro, dalla sorpresa, dall’inaspettato a cui mi sottoponeva sempre.
“Allora? Questa sorpresa?”
Fu la prima cosa che mi venne in mente, per alleggerire la tensione che avevo dentro.
“Sei impaziente” mi disse, per poi voltarsi e camminare verso il letto.
Lo seguii e quando lui si fermò anche io mi fermai, in piedi, non sapendo più cosa fare.
Dopo pochi secondi una donna uscì dal bagno, sorridendo, e con passo lento, ancheggiando, ci raggiunse.
Rimasi sbigottita, e confusa, un moto di rabbia montò dentro me, una tempesta di emozioni che divennero incontrollabili vedendo i loro visi sorridenti. Mi voltai decisa ad andarmene.
“No!”
Il suo urlo mi bloccò, rimasi così, a ingoiare rabbia e lacrime che non sarebbero mai uscite. Quella era la sua sorpresa? Davvero voleva quello? Una donna sconosciuta, tra di noi, per noi. Girai la testa e puntai il mio sguardo proprio su di lei. Anonima a primo impatto, non bella, ma i suoi occhi erano torbidi e trasudavano una personalità disinibita e immensamente troia. La sua bocca, rossa come la mia fu fonte di pensieri sconci. Chissà quante labbra, quante pelli, organi genitali erano passati in quella cavità, porta verso un inferno di libidine e perdizione. Mi avvicinai a lei che pronta mi sorrise. Gettai a terra la mia borsa e senza pensarci su le presi il viso tra le mani. Occhi negli occhi, Eva contro Eva, piaceri sconfinati che ondeggiavano tra i nostri corpi già tesi ed eccitati. Avvicinai la mia bocca alla sua, senza staccarmi un solo istante dal suo sguardo velato, sconcio, come la sua carne. La leccai per vedere la sua reazione e lei, di risposta, fece lo stesso. Ci gustammo assaporando le punte delle nostre lingue, confondendo i nostri respiri che divennero subito irregolari. Il suo primo gemito fu il segnale che aspettavo, le imprigionai le labbra nelle mie, e la divorai, mescolando i nostri rossetti, rossi entrambi, come il piacere, come il sangue caldo, il sesso sporco e perverso. Imbrattate di rosso e saliva ci toccammo, avide di esplorarci, di conoscere i nostri limiti e le nostre fantasie, liberandoci lentamente dai nostri abiti. Lui si avvicinò, lo vidi con la coda dell’occhio, mi avvolse la vita con le braccia, da dietro e fece aderire il suo corpo al mio, e sentii il suo cazzo duro tra le natiche. A lui mi strusciai, affamata sempre di tutto ciò che mi donava, a lui offrivo lo spettacolo della mia indecenza, al centro dei nostri piaceri, tra lui, l’ombra del mio tormento, e lei, comparsa occasionale nel palcoscenico della nostra dannazione. 

© Elisabetta Pietrangeli.
Maggio 2016
All rights reserved.

domenica 3 dicembre 2017

🌹Il piacere rubato 🌹

Sempre rubato è il nostro piacere,
un morso di tempo 
che avidi ci ritagliamo 
per poterci vivere.
Amo l'attesa prima di vederti 
ti divoro e mi divori 
con la calma della nostra passione 
ma con la fretta di andare via e fuggire.
Siamo ladri d'amore, di baci e sospiri,
di battiti veloci e urla di piacere.
Odio quell'attimo 
quando ti vedo andare 
portandoti via il mio odore,
il mio sapore, la voglia consumata che ho di te.
Mi tocco le labbra e ancora ti sento,
la pelle mi brucia delle tue carezze,
e sogno quanto piacere 
ancora ruberemo 
incastrando i nostri istanti,
le nostre vite,
le nostre voglie.
© Cinzia Fiore Ricci
🌹

giovedì 30 novembre 2017

Io, la sua pausa caffè


Erano giorni dove il suo silenzio mi rimbombava dentro lasciandomi solo tempeste fatte di strazianti orgasmi senza nessuna emozione. Mi masturbavo pensandolo ma la mancanza delle sue mani che scivolavano avide sulla mia pelle bollente mi gettava in uno sconforto indescrivibile. Non ce la facevo più. Una mattina, decisa come non mai indossai un completino intimo la cui stoffa copriva a malapena le parti più intime, misi scarpe alte, le più alte che avevo, perché so quanto gli piacciono e lo fanno impazzire, quanto gli ribolle il sangue nel vedermi nuda con indosso solo fantastiche scarpe. Mi truccai pesantemente abusando di ombretto mascara e rossetto apparendo come una sudicia puttana, la sua. Prima di uscire cappotto, borsa, un ultimo sguardo allo specchio dove le mie voglie ridevano felici sulla mia faccia in attesa di essere appagate. Percorsi la città con la macchina fino ad arrivare davanti al palazzo del tuo ufficio, parcheggiai e con passo sicuro ma con il cuore il gola arrivai dinanzi alla sua segretaria dicendo che avevo un appuntamento. Dissi il mio nome e quando la biondina al telefono gli disse della mia presenza il respiro mi si spezzò, lo trattenni temendo di un suo rifiuto e solo quando la ragazza mi disse di attendere ricominciai a respirare. Attesi per quasi un'ora, seduta nella piccola sala dove riviste di architettura, per me noiose, allietarono comunque momenti di angoscia e lussuria repressa.
"Signora può entrare, l'architetto la sta aspettando."
Mi alzai con una calma che non avevo ed entrai nel suo ufficio dove l'odore del suo profumo inconfondibile mi avvolse subito come una dolce carezza. Chiusi la porta alle mie spalle e lo guardai aspettando mi dicesse qualcosa. Cosa mi aspettavo dicesse? Sono felice che sei qui? Cosa mi aspettavo facesse? Un sorriso? No...
"Ti ho detto mille volte che quando posso e voglio ti chiamo io."
Il suo sguardo era cupo, indubbiamente non era felice di vedermi, sarei dovuta andare via, ma decisi di sfidarlo non curante del suo atteggiamento contrariato. Feci piccoli passi verso una poltrona posta sotto la finestra, gettai la borsa a terra, mi sfilai lentamente il cappotto fino a farlo cadere ai miei piedi per fargli gustare il mio corpo scoprirsi pian piano, nudo. Tolsi anche il mini slip e mi accovacciai sulla poltrona esponendo la mia fica ormai fradicia e vogliosa di lui. Non servivano parole ma solo gesti, sguardi, i miei supplichevoli, infuocati, pieni di desiderio troppo a lungo trattenuto. Mi osservò piegando la testa di lato, forse sorpreso e stuzzicato da tanta mia audacia, abbozzò un sorriso che ricambiai più vivo e gioioso del suo. Non resistette, lo sapevo, o forse solo lo speravo, si avvicinò e con il cazzo già duro e gonfio nel pantaloni si posizionò dietro di me per farmi sentire l'effetto che sempre gli facevo. Mi strusciai come una gatta in calore sulla stoffa e mugolai impaziente di averlo dentro e farmi sbattere fino alle lacrime.
"Lo vorresti adesso vero?"
"Ti prego..." Lo supplicai.
Appoggiò la sua mano al centro delle natiche e fece scivolare il pollice tra le labbra umide della mia fica strappandomi un gemito.
"Oh!"
Continuò a muovere il dito accarezzandomi dall'alto in basso fermandosi sul clitoride premendo forte.
"Sei già pronta, meravigliosamente pronta."
Si slacciò i pantaloni e il solo tintinnio della cinta mi fece tremare, tirò fuori il suo cazzo, eretto, gonfio e non resistetti alla tentazione di prenderlo in mano per poi infilarmelo dentro. Una sola spinta, decisa, mi fu dentro, urlai ma temendo mi farmi sentire mi morsi le labbra, soffocando un urlo che invece avrei voluto esternare per svuotarmi.
"Stai zitta, non urlare, ma godi per me in silenzio."
Mi afferrò per i fianchi e cominciò a sbattermi con furente voglia straziandomi come piaceva a me. Pochi minuti di esasperata passione, si irrigidì, poi il suo gemito, il suo cazzo esplodermi dentro inondandomi di sperma, una sensazione meravigliosa che toccò le note sensibili della mia perversione. Venni anche io, strizzando fino all'ultima goccia la sua asta di carne gonfia, lo trattenni, desiderandolo ancora dentro me, l'ultimo disperato tentativo di sentirmi ancora cosa unica con lui. Si sfilò poco dopo e rimasi così, mentre il suo sperma colava imbrattando le mie gambe. Si allontanò da me, lasciandomi solo freddo, vuoto, desiderio consumato, stuprato, ormai vissuto, ma tornò quasi subito con in mano dei fazzoletti di carta con cui mi pulì usando una cura che non avrei mai creduto.
"Forse dovresti farti venire più spesso queste smanie improvvise, come pausa tra un appuntamento e un altro sono come di un semplice caffè."
"Sono io la tua pausa caffè."
Girai la testa e vidi il suo sguardo compiaciuto, che brillava di felice serenità.
Andai via dopo pochi minuti, ma prima di voltarmi mi prese per un braccio, mi attirò a sé e mi baciò divorandomi.
"Vai ora!"
"Si vado, ricordati di pulirti le labbra, sei sporco del mio rossetto."
Se le leccò facendomi capire che aveva ancora voglia, ma il lavoro chiamava e senza farmi affascinare dai suoi occhi velati di desiderio gli sorrisi semplicemente. Mi sorrise anche lui facendomi promesse tacite di nuovi incontri fatti solo di noi, e felice me tornai a casa.

© Cinzia Fiore Ricci.

Magnificenza



Tramuto in belleza
ciò che i miei pensieri audaci
infondono al mio corpo.
Non c'è poesia più bella
di una donna
che fa della sua femminilità
magnificenza.
Impregnata di desideri
la mia natura si illumina
di un volere che stralcia
le barriere della consuetudine,
divenendo scopo,
ragione per esistere
e per dare spessore
alla mia complicata entità.

© Cinzia Fiore Ricci

martedì 28 novembre 2017

E a noi, ci piace così...



E' così che mi soprendi e disarmi,
quando sai cogliermi,
all'improvviso,
come un animale famelico
ti avventi su di me,
sfamando ogni tua voglia.
Dolce e arrendevole
il mio corpo si lascia amare.
In fondo
noi siamo questo,
e a noi,
ci piace così...

Aphodite
Monia Monica Marina Morganti.